martedì 28 settembre 2010

Il giardino di Babai - due racconti persiani

Mandana Sadat ha pensato questo libro in francese e in persiano, sua mamma è belga e suo papà è nato in Iran, un paese che tempo fa veniva chiamato Persia.
Così in questo libro ci sono due lingue e per ogni coppia di pagine trovi a sinistra il francese (l'italiano nella nostra traduzione) e a destra il persiano. Sembra proprio che dicano le stesse cose, che raccontino la stessa storia eppure lo sai già dal sottotitolo che di storie in questo libro ce ne sono due. 


 


Prendi il libro, lo accarezzi, lo avvicini per osservarne meglio i dettagli, cominci a sfogliarlo e trovi delle indicazioni. Sembrano le istruzioni per un gioco e allora subito leggi: 


"Questo libro propone due storie, una in italiano
aprendo il libro come d'abitudine per noi
e una in persiano aprendo il libro in senso contrario.
Le immagini di inizio della storia in italiano
corrispondono alla fine della storia in persiano."


Questo è un libro che si può leggere in tutti e due i versi, da destra verso sinistra e da sinistra verso destra! 
Le figure parlano la loro lingua esclusiva e universale con cui possono raccontare tutte le storie. 
E così da destra verso sinistra leggi una storia, quando arrivi all'ultima pagina sai che il libro non è ancora finito e sei allegro. Torni indietro, una pagina per volta, stupendoti ancora di fronte alle immagini, e leggi l'altra storia, quella in persiano (trovi la traduzione nell'ultima pagina, mentre in prima pagina c'è la traduzione persiana della storia in italiano).
È la stessa storia raccontata in modo diverso: la storia di una pecora (i bambini iraniani dicono "babai") e di un giardino che è un tappeto che però è anche un giardino. 
Oltre alla pecora ci sono mille altri animali, tutti dal manto e dagli occhi meravigliosi. Cavalli, pesci, lepri (bellissime!),  leoni, pantere, tigri, tori, stambecchi, cervi, antilopi e pavoni.
 


 

I tori sono blu e forse sono innamorati, perché portano un manto con tanti cuori. Due cervi si scambiano un bacio, uno di loro è un cerbiatto, è ancora un cucciolo. Babai ha il vello cosparso di semi, per via del vento che li ha fatti volare. 






E ci sono alberi e fiori in ogni angolo del giardino-tappeto-libro.
Infine non poteva mancare l'offerta di un tè.



Mandana Sadat
Il giardino di Babai - due racconti persiani
trad. in persiano T. Sadat
trad. dal francese Lion Vela
ed. Jaca Book (http://www.jacabook.it/)
2004

martedì 21 settembre 2010

La fabbrica delle farfalle

I poeti a volte si parlano fra loro senza parlarsi.

Una poetessa di Cesena meravigliata si domandava:

"Chi li ha pensati  
i fiori, prima, prima 
dei fiori"

E da tutt'altra parte del mondo, in America, un'altra poetessa scriveva un libro in cui spiegava proprio come i Disegnatori di Tutte le Cose avessero pensato i fiori e tutte le altre cose dell'universo. 




C'erano diversi gruppi di disegnatori, ciascuno specializzato in qualcosa: i Disegnatori dei Gatti "avevano gli occhi graffiati e si muovevano con fare sinuoso e silenzionso. [...] I disegnatori della Vita Marina erano snelli e luminosi e portavano berretti di squame che risplendevano come cristalli al sole. [...]Le Disegnatrici dei Fiori erano bellissime, coi volti bianchi dipinti di molti colori e vestite con abiti di petali di grande bellezza" (p. 35).

In questo libro si racconta del disegnatore che creò le farfalle, perché "molto tempo fa le farfalle non esistevano" (p. 3).
Lui pensava e pensava a come disegnare qualcosa di una bellezza mai vista prima, qualcosa che fosse "bello quanto un fiore e un uccello insieme" (p. 13) e diceva: 
"Quel che mi piace della bellezza è che non si dà mai per vinta" (p. 21).

La poetessa di Cesena a quel punto volle dire anche lei una cosa e scrisse: 

"Che forza insolente hanno i fiori. 
Pompano il colore per tutta
la camera. Ridono così forte
nel morire. Tornano sempre".

Le due poetesse sono Mariangela Gualtieri e Gioconda Belli. 
Ma c'è un terzo poeta per questa storia, il tedesco Wolf Erlbruch, il disegnatore che ha messo i colori e le forme in questo libro.


 



Mariangela Gualtieri, Senza polvere senza peso, Torino, Einaudi, 2004, p. 121
Mariangela Gualtieri, Bestia di gioia, Torino, Einaudi, 2010, p. 9


Gioconda Belli
La fabbrica delle Farfalle
trad. dallo spagnolo Margherita D'Amico
ill. Wolf Erlbruch
collana Il baleno
1997

lunedì 20 settembre 2010

Lunedì

In questo libro puoi entrare senza bussare, c'è un buco in copertina, a forma di casetta con il camino.   
Fuori c'è la neve, o sua sorella. 
(Nella foto qua sotto non si vede ma è sulla copertina: palline in rilievo sul cartone bianco).




Quello che c'è dentro te lo dico un po' emozionata e senza  storia, perché è un libro così bello e delicato che fa girar la testa. 

C'è Lunedì, che ha il becco, ago e filo e una tazza di tè che lo aspetta. C'è Ieri, una teiera amica che suona il pianoforte. C'è Domani, con il nasone rosso, due corna, una coda e mani come ali.
C'è anche un merlo che vola fra le pagine (ah... i merli, che belli) e ci sono le stagioni. 
La mia preferita qui è l'autunno, che ride, sembra matto e mette un po' di paura.
Anche dentro c'è la neve da toccare.
C'è il bianco. Il bianco che mi fa pensare al silenzio che mi fa pensare a un distinto signore di nome John Cage che mi fa pensare a Cappuccetto Bianco, un altro libro pieno di neve e di bianco. Ne parleremo.  


  
Ci sono gli alberi e c'è un innaffiatoio di latta, di quelli che fanno la pioggia. 
Nell'ultima pagina c'è una medusa bianca che non è una medusa. Vai a vedere.

Io adesso mi metto le scarpe e vado in Belgio, dove è nato questo libro insieme alla sua autrice Anne Herbauts. Vado là e prendo tutti gli altri libri di Anne che non sono stati (ancora) tradotti nella nostra lingua italiana e che non ci sono nelle nostre biblioteche, così li posso leggere e sfogliare perché adesso ho come una febbre che vuole tutti questi libri.



http://vimeo.com/12228907

Le cose che mi piacciono tanto, a volte, hanno dentro anche qualcosa che non mi piace. E qui succede, con alcune parole delle stagioni.

(Anche questo libro è stato stampato in Cina, e così ho ormai imparato che è pratica diffusa da tempo).  


Anne Herbauts
Lunedì
trad. Michela D'Agostini
2010

venerdì 17 settembre 2010

un libro solo per MIOPI (e non)

Un tempo, nella lingua latina, si diceva qualcosa come "visibìlium òmnium et ìnvisibìlium", faceva parte di una preghiera e si riferiva a tutte le cose visibili ed invisibili. 
Le parole hanno una vita molto intensa, anche quando sembra che non facciano nulla, che se ne stiano alla finestra a guardare chi passa, in realtà hanno tutto un lavorio di baco da seta, dentro, intorno e a mezza strada. E così quelle parole latine diventarono un'espressione che suonava "andare in invisibilio".
Dov'è che vai?
Se qualcuno se ne va trotterellando fra le cose invisibili, sono certa che camminerà a bocca aperta per la meraviglia, e forse talvolta, ad occhi chiusi. Cammina e cammina, si è perso anche un pezzetto di parola , che tanto era doppio, come una figurina, ed ecco perché tutti dicono "io vado in visibilio per la cioccolata" o per i libri! 


Riki Blanco, quando aveva ventisei anni, nel 2004, pensòscrisseedisegnò un libro per cui andare in visibilio e forse più che ad un libro somiglia ad un quadro a tele sfogliabili. Ecco, lo appenderei alla parete, vicino ad una soglia, dove passo e ripasso.




Secondo voi, che cosa serve per vedere?
Gli occhi, gli occhiali, il cervello, il telescopio, il microscopio, il cuore, il mondo, il sole, la pila o il lampadario, l'anima, la curiosità, l'attenzione, la vita, il deserto, il vuoto, la neve, la sete, il sogno, il cinema, la magia, la serratura, l'avventura, ...

Riki Blanco mette nel suo libro alcune di queste cose e ci racconta ad esempio di chi "vede i fantasmi... e non vede semafori rossi" (io ci farei subito amicizia!), di "chi vede più in là", e di "chi guarda".  
 



Qui le immagini e le parole sono innamorate fra loro, si intrecciano, somigliano a due mani. Non si può fare a meno delle figure né delle frasi. E quando capita così, si può dire "poesia visiva". 
E su questo l'editore Orecchio acerbo la sa davvero lunga, sicuramente più lunga della coda di un drago! 


Il saggio poeta Anna Maria Ortese ha detto: "credo in tutto ciò che non vedo, e credo poco in quello che vedo. Per fare un esempio: credo che la terra sia abitata, anche adesso, in modo invisibile. Credo negli spiriti dei boschi, delle montagne, dei deserti, forse in piccoli demoni gentili (tutta la natura è molto gentile). Credo anche nei morti che non sono più morti (la morte è del giorno solare). Credo nelle apparizioni. [...] In tutto credo, come i bambini."






Riki Blanco
Un libro solo per MIOPI (e non)
trad. dallo spagnolo Anna Ciammitti
ed. Orecchio Acerbo (http://www.orecchioacerbo.com/editore/)
2004

giovedì 16 settembre 2010

Discorso dell'orso

  A fare il discorso di apertura per questo nuovo taccuino virtuale sarà un'orso, non si poteva chiedere di meglio. 
Se fossimo in un salone da conferenze, tutti (quelli rimasti) si metterebbero zitti zitti, ma dai bambini più vispi potrebbero sorgere domande come "Scusi, ma lei chi è?" "Sono l'orso dei tubi della casa".





Un giorno uno scrittore argentino di nome Julio e di cognome Cortazar (sentite che cognome... fa pensare a Sherazad delle mille e una notte) immaginò un'orso e tutto un suo discorso che mise per iscritto. Poi, molti anni dopo, Emilio Urberuaga, un  uomo spagnolo che di lavoro fa bellissimi disegni, lesse quel discorso - che nella lingua originale suona "discurso del oso" - e si immaginò un suo orso.   
Ora noi abbiamo questo libro, con la copertina rigida, le pagine di un odore buono e colori da uau. Ad un certo punto c'è una notte tutta verde, e in un'altra pagina le parole che preferisco: 

"nelle notti d'estate nuoto dentro la cisterna tempestata di stelle, mi lavo la faccia prima con una mano, poi con l'altra, e poi con tutt'e due": è come una cerimonia, come una preghiera. E se giri ancora prosegue: "e la cosa mi riempie di allegria". 


Il signor Cortazar scrisse nel 1952 il discurso del oso (che tradotto in italiano prende la rima e suona ancora più bello!), lo scrisse e lo diede proprio a dei bambini. Anni dopo lo volle includere nelle Storie di Cronopios e di Famas - un libro che piacque moltissimo ai grandi e ai formichieri- ma i signori  Kalandraka, leggendo leggendo durante i loro viaggi fra Portogallo, Messico e chissà dove in cerca di pepite d'oro d'orissimo, nel 2008 videro baluginare proprio quelle parole fra le altre e così  un pezzetto di un libro divennne - come era suo destino - un libro tutto uno. 
Io lo apro e lo appoggio in piedi sul tavolo, è come un paravento dietro cui giocare, un teatro che mi fa l'occhiolino, un quadro che mi fa respirare con i polmoni interi. 

C'è poi che ho notato una cosa insolita, almeno per la mia esperienza: il libro è stato stampato in Cina. Ma di questo parleremo un'altra volta. 



Prima di scoprire cosa combina l'orso nei tubi della casa, provate ad ascoltare il suo discorso in spagnolo: ve lo recita Julio Cortazar. 



Julio Cortazar
Discorso dell'orso
trad. Elena Rolla
ill. Emilio Urberuaga

ed. Kalandraka (www.kalandraka.com)
collana Libri per sognare
2008